Continuare
a distruggere la fantascienza
Nel
1977, l’anno che ha visto bruciare
tutti i desideri possibili di una generazione che sognava di dare
l’assalto al cielo, l’editoriale del primo numero di Un’ambigua
utopia titolava “Distruggere la fantascienza”. Questo dialogo,
pontiere tra due generazioni a confronto, riprende la matassa di
quell’ipotesi di lavoro su un genere stressato da tentazioni
estetizzanti e schiacciamento sul tempo presente
Giuliano
Spagnul - Nel 1965, a pochi
anni dallo sbarco sulla Luna, la televisione italiana (che all’epoca
aveva due soli canali le cui trasmissioni finivano, come i
mascheramenti di Cenerentola, allo scoccare della mezzanotte) ha
mandato in onda un ciclo di sei film
di fantascienza. Fu un evento epocale in cui la cultura di massa
doveva misurarsi, in prima serata, con opere di una certa levatura
della settima arte: Eisenstein, Dreyer, Ford, Lang, per fare solo
qualche nome. L’ansia per un possibile incipiente ultimatum alla
terra e la speranza nelle “magnifiche sorti e progressive” che il
connubio scienza e tecnica sembrava offrire, si coniugavano in un
immaginario fantascientifico ad uso popolare che conteneva in sé sia
la critica che l’adeguamento alla velocità del progresso
tecnoscientifico, che andava modificando irreversibilmente gli
automatismi soggiacenti ai normali comportamenti quotidiani. Voi
giovani siete il prodotto di questa fucina di trasformazione che noi
abbiamo deciso, quanto subito. Pensi che la tua, come le altre ancor
più giovani generazioni, siate in grado di immaginare (e quindi di
non esserne stati del tutto privati) quel senso di speranza verso un
futuro come promessa, per quanto talvolta inquietante e minacciosa
che muoveva la nostra, come le precedenti generazioni?
Alberto
Di Monte - Sono cresciuto in
tempo di monopolio capitale. Un tempo orfano di socialismi
desiderabili, in cui i concetti di blocco e di muro evocano immagini
inedite rispetto a quanto risuona nella testa dei miei familiari. Ho
conosciuto l’ondata montante della crisi climatica: ieri terreno di
conflitto accademico, oggi matrice di sopravvivenza, processi
migratori e accaparramento di risorse. Oltre le facili retoriche
thunberghiane sul fallimento della generazione che mi ha preceduto,
l’ineluttabilità di un futuro come minaccia, o quantomeno
incognita, è chiaro a quante e quanti mi circondano. I tentativi di
sottrazione a questo senso di incombenza, anche in campo letterario,
svelano il loro carattere ideologico ed estetizzante, suggerendo
affreschi rigenerativi e resilienti (ma scevri dal conflitto) ad un
pubblico che nutre presentimenti survivalisti.
G.S.
- Se la fantascienza ha corroso dall’interno il mito del progresso,
come diceva Antonio Caronia “nutrendoci dell’immaginario della
catastrofe e del dramma insito nella potenza della tecnologia”, in
che modo, con quali discussioni pensi che oggi la tua generazione
avverta i tentativi di una riproposizione della fantascienza in
termini progressivi e ottimistici? Mi riferisco tanto ai manifesti
dell’ottimismo tecnologico del solarpunk (in contrapposizione al
nichilismo catastrofico cyberpunk) quanto a posizioni che sottendono
tesi accelerazionistiche, piuttosto che a nuove prospettive di
espansione spaziale, nelle nuove frontiere cosmiche che i soldi dei
miliardari Musk o Bezos vorrebbero rendere possibili.
A.D.M.
- Ci sono più filiazioni
narrative del punk che punk umani in circolazione: dieselpunk e
atompunk nella versione analogica del già citato cyber, steampunk
dal sapore vittoriano e dai pomi d’ottone, in tempi più recenti
appunto il più rassicurante e olistico solarpunk. La mia impressione
è che questa fantascienza soffra della stessa patologia di quella
sulle cui ceneri è sorta, dedicandosi ad un esercizio
d’ambientazione che, non senza una certa abilità descrittiva,
rinuncia alla comprensione del metaverso in cui la sfera del reale e
quella digitalmente aumentata, precipitano inesorabilmente. Dal punto
di vista del suo consumo, questo approccio compilativo può indicare
la direzione di vene aurifere ancora inesplorate nell’ambito del
gaming e della serialità televisiva. Ma tutto questo potrebbe non
bastarci.
Tornando
ai voli suborbitali in streaming-visione promossi dal trio dei
patrimoni da capogiro: dietro la patina di fastidio provocata da
questo inedito svago per ultra ricchi, non si cela il "solo"
accreditamento per servizi spaziali da vendere alle agenzie
internazionali e tantomeno l'ospitalità per studi scientifici della
durata di dieci minuti di assenza di gravità. Dopo anni sottotono lo
spazio "ultima frontiera" guarda nuovamente a Marte (per
non dire delle suggestioni sulle origini dell'asteroide ‘Oumuamua!)
provando a spostare l'orizzonte della crisi climatica del
sistema-mondo. Si può guardare a questa opzione come una nuova forma
di negazionismo della finitezza dell'equilibrio chimico e biologico
del geoide?
G.S.
- Direi assolutamente di sì. È l'anelito dell'infinito, sempre
presente nell'uomo, che si ritorce contro se stesso spostando questo
andare oltre, che ha più dimensioni e sensi possibili, in una
direzione puramente spaziale: alla ricerca di una nuova frontiera,
nuovi spazi da sfruttare dopo l'esaurirsi delle risorse del pianeta
che ci ha ospitato finora. Quindi più che di negazionismo parlerei
di una promessa di futuro espansivo e illimitato che deve abbandonare
dietro di se gli inevitabili scarti del proprio procedere.
Ma
per rimanere a terra, da terrestri quali siamo e rimarremo, io
credo, per un bel pezzo ancora, tu hai scritto un racconto “Alba di
ruggine”
che nella sua trama ucronica potrebbe ascriversi, di fatto, alla
fantascienza. Hai anche pubblicato un saggio nella forma di guida sui
sentieri che attraversano i nostri confini, in cui i migranti vengono
intrappolati entro una tela che una politica inefficace quanto
crudele ha intessuto di micidiali fantasie tecnoscientifiche.
Su quali basi potresti distinguere il carattere fantascientifico da
quello realistico di queste tue opere?
A.D.M.
- Diffido delle copertine. Intendiamoci l’oggetto libro, con le sue
rilegature e sovracoperte piuttosto che nelle più economiche
edizioni brossurate, continua a nutrire la nostra fantasia con una
cura che tracima l’immaginario suggerito dall’immagine del suo
involucro. Eppure il genere rappresenta, in parte, un recinto utile
anzitutto a chi cataloga e a chi vende, piuttosto che a chi legge e
scrive. Elementi di fantascienza convivono nell’ucronia rugginosa
cui facevi riferimento e certamente permeano la compilazione degli
elementi, questi sì presenti e assolutamente reali, dei dispositivi
di cattura delle persone migranti. La condizione nomade, all’ombra
della ferocia del suo carattere di migrazione forzata, è una
metafora (da maneggiare con una certa delicatezza) assolutamente
contemporanea anche per quanti hanno cittadinanza e documenti per
l’espatrio, ma abitano lo stesso fragile presente che porta in nuce
la minaccia di apolidia per via di mutamenti repentini, spaesamento o
disaffezione.
G.S.
- Scriveva Primo Moroni in un articolo dal titolo dickiano “La
svastica sul sole” che il capitalismo è una grande invenzione, una
“forza rivoluzionaria per eccellenza, si trasforma continuamente.
Disintegra luoghi comuni, culture piccole e grandi, utopie negative e
positive, speranze e illusioni.” Il nostro slogan distruttivo con
cui abbiamo inaugurato UAU e che tu e il tuo gruppo di giovani
compagni che avete digitalizzato l’intera serie della rivista avete
ripreso con enfasi durante l’iniziativa a Mudima nel 2018,
di fatto voleva, nel suo piccolo, riappropriarsi di questa forza
rivoluzionaria del cambiare, dell’essere pronti, in quanto
rivoluzionari, per dirla ancora con Primo , di essere “persona che
cambia, si trasforma in continuazione.” Pensi che la fantascienza
possa oggi riproporsi in continuità con ciò che è stata quando è
nata un secolo fa o debba ripensarsi come ciò che rivive, dopo la
propria morte, in modo affatto diverso?
A.D.M.
- Risposte non ne ho, non sono nemmeno un lettore "forte"
di fantascienza, o almeno di quella cintata dai quadri archetipici
del genere. Non vorrei d’altronde ridurre la discussione alla
facile critica delle suggestioni spoliticizzate e young adult della
distopia formato Netflix di cui l’universo mondo si nutre. Il
rischio di incappare in un nuovo e identico recinto ideologico,
quello di una fantascienza utile a interpretare o preconizzare l’alba
di domani, sarebbe troppo alto. Eppure la curiosità non manca: chi
mi accompagna a visualizzare tecnologie conviviali, cooperazione
sociale, scontri tra interessi incompatibili e irriducibili al
crepuscolo di una modernità esaurita, produttrice bulimica di
disagio psichico e ansie esistenziali? Chiedo io a te, sei sicuro di
non voler veder risorgere la fenice? Sei certo di non desiderarlo
oggi più profondamente?
G.S.
- Touché. Ma in realtà la distruzione che intendevamo con quello
slogan riguardava più il contenitore che il contenuto. Certo che c'è
bisogno di qualcosa che accompagni e ci aiuti a vedere quel che oggi
è sotto gli occhi di tutti ma che tutti, proprio per questa
esposizione in piena luce, si fatica a vedere. La fantascienza è
diventata la realtà soggiacente al nostro agire quotidiano sia nella
prassi cosciente individuale e collettiva che negli automatismi e
abitudini soggetti a continue sollecitazioni innovative. Tutto sta ad
aver capito che la morte è sempre la condizione necessaria alla vita
stessa. Al suo essere creazione del nuovo e non stagnazione del
vecchio. Quindi non pensi anche tu che la fantascienza oggi più che
rinascere dalle proprie ceneri debba trovare l'occasione di una
propria risignificazione non nostalgica ma capace di ridisegnare
nuovi giochi nel campo del possibile?
A.D.M.
- E' un buon punto di partenza,
per quanto una cornice promettente non produca necessariamente una
buona letteratura. Anche da questo punto di vista il continuo
riferimento all'esperienza dickiana tradisce una certa “ostalgie”
in cui la fantascienza politica, o radicale, resta forse intrappolata
come nel cubo di Vincenzo Natali.
G.S.
- Antonio Caronia parlava di una fantascienza radicale piuttosto che
di una fantascienza “matura” (che in quanto tale prelude alla sua
imminente decomposizione) per rivendicarne la capacità di far
dubitare la realtà di sé stessa. Pensi che le nuove generazioni
oggi preferiscano immaginari più rassicuranti, o anche distopici ma
certi, rispetto a una messa in mora dell'esistente così, appunto,
radicale?
A.D.M.
- Abbiamo percorso riga dopo
riga un'infinità di universi presenti, futuri, passati e
alternativi...alla ricerca. Non alla ricerca di, semplicemente in
nome della narrazione e della sua potenza di rottura del piano di
realtà. Questa tensione alla fuga convive necessariamente con una
seconda tensione alla quiete che non è più o meno preferibile ma
resta un punto d'ancoraggio ineludibile, un ritorno ad uno stato di
equilibrio, una camera di compensazione che tutela il rientro
all'atmosfera terrestre.
G.S.
- Se oggi, come io credo, la parola fantascienza non caratterizza più
l'appartenenza a un genere ma è un puro ingrediente che può essere
dominante oppure un solo colore insieme ad altri di un prodotto
ibrido, ciò significa che non esiste più la possibilità di normare
il genere e, quindi, di farlo sussistere in quanto tale. Non si può
più scrivere oggi l'equivalente delle Tre leggi della robotica di
Asimov pretendendo che sia una norma da rispettare o da trasgredire,
comunque implicitamente a cui riferirsi. Questo fa della fantascienza
più una modalità di lettura che non un prodotto determinato dai
suoi elementi. Concordi con me? E se sì non pensi che una lettura
fantascientifica del reale voglia dire saperlo mettere in crisi
andando a fare domande laddove le risposte vorrebbero imporsi come
legittime per essere state poste “in nome” della scienza?
A.D.M.
- Posso dire un’eresia? Alle
tre leggi di Isaac rispondevano sì tutti i cervelli positronici, ma
la rilevanza che diamo alla sua geniale intuizione tradisce un
consapevole e imperituro appiattimento sui suoi grandi maestri.
Questo è stato forse lecito per la capacità di penetrazione
nell’immaginario collettivo e nella stessa letteratura SF. Fuori
dalla zona comfort della golden age, prima e dopo la stagione
ruggente della narrativa hard, il multiverso fantascientifico è
popolato da ginoidi, precog, xenomorfi, cyobrg, ai, mecha e automi
che realizzano altre vie di fuga, non necessariamente pulp,
dall’umanesimo e dalle sue leggi. La fantascienza come modalità di
lettura è certamente un buon grimaldello per attraversare comunità,
scienze e mondi lontanissimi.